Come è nato un segugio di razza dalla quotidiana dimestichezza con gli oggetti del desiderio
Ha il fiuto di un segugio di razza Giuseppe Visceglie. E lo ha sempre dimostrato, prima che diventasse antiquario. Lui ha esordito come restauratore, di mobili im particolare, ed in tale veste, e anche in virtù della sua innata onestà, riusciva sempre a consigliare per il meglio il cliente. In altri termini, se per caso l’oggetto del desiderio era frutto di un abile assemblaggio non aveva alcuna remora, pur di rimetterci la commissione, che non valeva la pena spendere soldi per tenersi poi nella propria dimora un… testimone falso dei tempi andati. E altrettanto faceva, anzi con maggiore veemenza, se aveva molti dubbi, se non la certezza, che un determinato mobile era falso da capo a piedi. Dunque, in base al suo onesto comportamento e alla dimestichezza acquisita con il diuturno restauro di mobili del passato, Giuseppe Visceglie ha avuto il coraggio un bel giorno di passare il Rubicone, ossia indossare i panni dell’antiquario. Senza mai dismettere, però, quelli del restauratore, un mestiere che gli ha dato tante soddisfazioni in passato, e che gli consente di offrire una marcia in più al cliente, ossia di conferire una “marcia in più” al mobile antico. Che veniva fatto visionare al futuro proprietario nelle sue reali – e purtroppo, talvolta, precarie – condizioni allo scopo di poter poi gustarne il restauro-doc cui veniva sottoposto nel laboratorio del nostro solerte Giuseppe. Non è finita. C’era da mettere a frutto quella interessante e preziosa capacità di fiutare il pezzo d’alto lignaggio, capacità acquisita – come si è detto – grazie alla dimestichezza quotidiana con i retaggi del passato. E così nei periodi cosiddetti morti, lungi dallo starsene in panciolle, il neo-antiquario si metteva alla ricerca di lembi del passato, prossimo e remoto, girando in lungo e largo il Belpaese per stanare selvaggina-doc nei posti più impensati. Selvaggina che lui portava – e continuava a portare – nella sua galleria, in via Calefati tot, per sottoportli, sic et simpliciter, ai suoi clienti, per poi sottoportli ad un restauro accurato nel retrobottega, che era, ad onor del vero, il suo laboratorio. Ed oggi? Oggi nella sua rinnovata galleria in via Claefati 161 (il laboratorio è stato trasferito in altro locale, sempre nella stessa via) possiamo ammirare testimonianze Biedermeyer, oppure esemplari dell’epoca vittoriana o della suggestiva stagione del Liberty. Tutti gli oggetti del desiderio – è questa la cifra stilistica di Giuseppe Visceglie – sono allo stato brado, cioè nella stessa condizione in cui lui l’ha scovato. “Sono dell’avviso – precisa il nostro segugio – che il cliente debba innamorarsi del pezzo senza che questo abbia potenziato la sua carica seduttiva con il restauro. Deve essere, cioè, un amore autentico, a prima vista. Poi si passa al ‘restyling’, che deve essere fatto in maniera intelligente senza adulterare la beltà d’un tempo. In altri termini, se ci sono rughe, queste non devono essere cancellate, stirate al massimo. Come avviene in certi istituti di bellezza che trasformano donne, una volta bellissime, in caricature di se stesse”. E in tale rassicurante clima non possiamo non ammirare e gustare uno splendido tavolinetto Luigi XVI intarsiato da cima a fondo, che sembra uscito dalla bottega del Maggiolini. Così come manda suadenti richiami una “chicca” in sheffield di fine Ottocento che ha le sembianze di una misteriosa bugia. Allo stesso modo colpisce un dipinto di William Bradley. Il prezzo? E’ quello della nostalgia, senza essere maggiorato dall’eventuale restauro.
© Copyright 2013 GIUSEPPE VISCEGLIE ANTIQUARIO