In sheffield o in argento mandano suadenti richiami insieme con altri oggetti del desiderio: dalle caraffe ai candelieri, dalle legumiere ai rinfrescatoi, dalle porcellane ai vetri, a tante curiosità.
“Epergnè”? Carneade, chi era costui? Il dilemma di manzoniana memoria ci assale all’improvviso mentre ammiriamo “gli oggetti del desiderio”, in sheffield o in argento, disseminati qua e là su tavole imbandite e tutti rigorosamente d’epoca; dal secolo dei Lumi all’Ottocento, fino a lambire il Liberty e il il Deco, e con qualche affondo negli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale. La preziosa passerella, allestita da Giuseppe Visceglie, nella nuova galleria, attigua alla prima, in via Calefati 167, a Bari, spazia dalle caraffe ai candelieri, dalle legumiere ai rinfrescatoi, dalle porcellane ai vetri, a tante chicche curiose. Compresi gli è epergnes”.. A questo punto è d’obbligo la spiegazione. Gli “epergnes” non sono altro che dei centrotavola, già in uso verso la metà del Settecento e molto apprezzati da Giorgio IV d’Inghilterra. Il sovrano non amava soltanto la buona tavola ma voleva anche sulla sua mensa non mancassero mai fiori recisi. Un’abitudine che fu immediatamente imitata, trasformandosi in moda.
Eravamo nel 1820 e la nascita delle serre, che garantivano fiori freschi per tutto l’arco dell’anno, favorì ulteriormente il diffondersi di tale usanza e anticipò l’esigenza di trasformare la struttura dei centrotavola, ossia degli “epergnes”. Questi ultimi erano costituiti da un’alzata centrale a forma di coppa, dalla quale si dipartiva un calice per contenere fiori. Dallostesso fusto, inoltre, a volte fuoriuscivano
bracci che sostenevano contenitori più piccoli. In altre parole, la versione ridotta dei “sut-tout” che, opulenti nella dimensione del decoro, dominavano ogni banchetto. Pratici, funzionali e al tempo stesso decorativi, gli epergnes comprendevano saliere, portaspezie, salsiere, dolci e,soprattutto, gli immancabili fiori. Il nome, benché fossero stati adottati soprattutto in Inghilterra, tradisce la sua origine francese. Derivano,infatti, dal verbo èpagner, “risparmiare”, a conferma dell’esigenza di conciliare, in un unico pezzo, un centro tavola elegante, utile alle necessità del pranzo e soprattutto poco ingombrante . Del resto, il mutamento politico-economico avvenuto nell’ottocento non poteva non riflettersi nelle abitudini sociali, compresa l’arte di apparecchiare la tavola. Tanto è vero che all’abitudine di servire pietanze di volta in volta ad ogni singolo ospite subentrò l’impiego di piatti da portata, sistemati al centro della tavola e dei quali i commensali si servivano direttamente. Di qui il “boom” degli “epergnes”: in argento (quelli più raffinati) oppure in argento e cristallo oppure semplicemente in vetro, rigorosamente dotati di portafiori, ebbero una grande diffusione in tutta Europa e anche negli Stati Uniti. strettamente legati alla vita inglese, vissero la maggiore popolarità durante il periodo vittoriano, che esaltava l’intimità della casa. il salotto era il punto di incontro preferito dalle signore, dove il rito del tè pomeridiano riuniva tutti attorno ad una teiera fumante e ad un’ epergne ricca di golosità. E. in omaggio a re Giorgio IV, anche di fiori. (m.v.c.)
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